La Trasgressione - Capire i Vangeli

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La Trasgressione

La LEGGE o l'AMORE



Gesù ha trasgredito fortemente la Legge e ne ha dimostrato l'abissale lontananza da quella che è la volontà di Dio, volontà che la Legge stessa aveva la presunzione di manifestare e rappresentare.

Il sabato


Quando ho parlato delle Modalità di lettura dei Vangeli ho evidenziato l'importanza del sabato nella cultura religiosa ai tempi di Gesù. Bene, Gesù trasgredisce sistematicamente e volutamente il sabato.

Gli esempi sono molteplici:


Guarigione dell'uomo con la mano inaridita

Entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: "Mettiti nel mezzo!". Poi domandò loro: "È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male,  salvare una vita o toglierla?". Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: "Stendi la mano!". La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero  consiglio contro di lui per farlo morire. (Mc 3, 1-6)

E' sconvolgente l'ottusità dei farisei. Anziché rallegrarsi di fronte a un segno straordinario sono ossessionati dall'inosservanza di un precetto. Fin dall'inizio sperano in quella trasgressione, per avere il pretesto di poter uccidere Gesù. Da un lato il Figlio di Dio, che dona vita, dall'altro i massimi osservanti della "Legge di Dio" che premeditano morte.

Guarigione del cieco nato

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo". Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri invece dicevano: "Come può un peccatore compiere segni di questo genere?". E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta!". ...
... Allora [i Giudei] chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: "Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore".  Quello rispose: "Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo". (da Gv 9, 13-25)

Il cieco nato

L'ottusità si scontra con il buon senso. I Giudei (= le autorità religiose) tentano in tutti i modi di far comprendere al cieco che la sua guarigione è "male"; proviene da un peccatore perché chi compie guarigioni di sabato è un peccatore; loro, "discepoli di Mosè", cioè servi della Legge, lo sanno bene. Ma la risposta del cieco guarito è semplice e disarmante al tempo stesso. Egli sa meglio di loro cosa è bene per lui: prima non ci vedeva, ora sì. Non c'è niente altro da aggiungere.
Consiglio di leggere con attenzione tutto il capitolo 9 di Giovanni. E' estremante illuminante e ricco di spunti. Alla fine il cieco viene cacciato dal tempio a causa dei suoi precedenti peccati (per i quali era stato punito con la cecità) e, soprattutto, a causa del suo ultimo peccato, il più grave di tutti: quello di avere "visto".

Poco male, anzi, molto bene. La perdita della religione, l'abbandono del recinto, è il presupposto essenziale per incontrare la fede: "Tu, credi nel Figlio dell’uomo?". ... Ed egli disse: "Credo, Signore!". E si prostrò dinanzi a lui." (da Gv 9,35-38)
Gesù conclude il capitolo, rivolgendosi ad alcuni farisei, preoccupati di una loro eventuale "cecità", con una frase che ritengo sia la chiave di tutto  l'episodio:
"Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane" (Gv 9,41).

Le spighe strappate

Avvenne che di sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli, mentre camminavano, si misero a cogliere le spighe. I farisei gli dicevano: «Guarda! Perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?». Ed egli rispose loro: «Non avete mai letto quello che fece Davide quando si trovò nel bisogno e lui e i suoi compagni ebbero fame? Sotto il sommo sacerdote Abiatàr, entrò nella casa di Dio e mangiò i pani dell’offerta, che non è lecito mangiare se non ai sacerdoti, e ne diede anche ai suoi compagni!».  E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò  il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato».  (Mc 2, 23-28)

Beh, qui Gesù esagera davvero. Tanto tanto se si tratta di guarire una persona. E' un gesto troppo alto e nobile per essere soffocato da un regolamento. Ma in questo episodio non avviene proprio niente di eclatante.

Di sabato non si può camminare per più di 800 passi e non si può mietere. E cosa decide il buon Gesù? Fa una bella passeggiata in campagna con i discepoli.

E non basta. I suoi mentre camminano (letteralmente "mentre fanno strada") cominciano a cogliere le spighe (= mietere). Insomma Gesù e i discepoli trasgrediscono il sabato per... divertirsi. Orrore! Ma nella religione non c'è posto per il divertimento!

Le spighe strappate

Agli immancabili farisei che, meglio di un investigatore privato, spiano tutte le sue mosse Gesù risponde prima con una citazione delle scritture (che loro dovrebbero conoscere bene) e poi con quella frase stupenda che riassume il senso vero delle regole e dei divieti: il sabato è stato fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato. Le norme nascono per il bene dell'uomo; farle diventare il nostro padrone stravolge la loro funzione.

E' evidente la natura "pedagogica" e non storica di questo brano. Se i farisei fossero stati realmente presenti vorrebbe dire che stavano trasgredendo il sabato anche loro. Impensabile. Ma il significato profondo che l'evangelista vuole trasmettere è che il fine delle leggi è il bene dell'essere umano; una legge che non rispetta la dignità dell'uomo, facendone il suo schiavo, è ingiusta, anche se viene spacciata come "divina". Le norme non possono entrare in conflitto con le naturali esigenze dell'uomo. In fondo Gesù e i discepoli stavano facendo proprio quello per cui il sabato era stato originariamente istituito: si stavano rilassando. Dio non può volere la morte di un uomo per questo!

I peccatori


La disobbedienza di Gesù non si limita al mancato rispetto del sabato ma investe anche la sfera dei rapporti interpersonali, in particolare l'incontro con le persone impure, quelle che in quel tempo non avevano la possibilità di stabilire un contatto con Dio perché, proprio a causa della loro impurità, erano escluse dai riti che avrebbero consentito loro di purificarsi. Pubblicani, peccatori, lebbrosi, prostitute: le pecore perdute, i figli perduti.


La pecora perduta

Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione». (Lc 15, 1-7)


La moneta perduta

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto". Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte. (Lc 15, 8-10)


Il figliol prodigo

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. (da Lc 15, 11-32)


La pecora smarrita

Dove è finito il Dio legislatore e giudice? Dove è il Dio che giustamente ma implacabilmente condanna?

Nell’episodio della pecora perduta non c'è traccia di leggi, regole, divieti.
C'è solo la tristezza per una perdita e la gioia di un ritrovamento.
Gesù ci comunica che l'Amore di Dio è per tutti e si manifesta ancora più forte verso chi ha abbandonato la Via: "Non sono i sani che hanno bisogno del  medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,12-13).

Lo stesso messaggio viene trasmesso nella parabola della moneta perduta e culmina in quella stupenda del figliol prodigo.
La storia è nota. Un figlio chiede al padre la sua parte di patrimonio.

Dopo qualche giorno abbandona la casa paterna e si reca in un altro paese dando fondo a tutte le sue sostanze e conducendo una vita non proprio morigerata. Ridotto in miseria si ritrova a fare il guardiano di porci, senza nessuno che gli dia qualcosa da mangiare. Decide allora di tornare.

L'aspetto forse meno conosciuto di questa parabola è che il figlio non è motivato da autentico pentimento, da sincero rimorso per ciò che ha fatto. Più semplicemente egli ha fame. Si rende conto dell'errore ma più per i danni che ha portato a se stesso che non per il dolore arrecato al genitore. Da qui la decisione:
"Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!  Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati" (Lc 15, 17-18).

Al suo ritorno il Padre ci sorprende. Perché magari un rimproverino, una punizioncella ce li saremmo aspettati. Invece veniamo travolti da una gioia traboccante, da un amore infinito e incondizionato. E al risentimento (invidia?) del figlio "religioso", quello che ha passato la vita a rispettare la Sua volontà e i Suoi comandamenti il Padre risponde con una frase che lascia interdetti:
"Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; (il figlio "buono" era talmente concentrato sulle azioni da compiere per meritare l'Amore del Padre da non accorgersi che quell'Amore gli era stato già regalato, era già suo) ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" (Lc 15, 31-32).

E' impossibile non sentirsi avvolti e riempiti da questo Amore. E' traboccante. E' perfino esagerato. Che facciamo allora? Possiamo regalarlo a nostra volta, donandolo così come ci è stato donato. A chi? Al nostro "prossimo" o meglio, come ci insegna Gesù, possiamo scegliere di diventare noi prossimo per gli altri.

Gli altri e noi


Diciamo la verità. Al dottore della legge, che aveva chiesto a Gesù cosa dovesse fare per meritare la vita eterna, era andata fin troppo bene. Gesù gli aveva rivolto la domandina sulla Legge. Lui, preparatissimo, aveva risposto correttamente: "
Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, (=Amore assoluto) e il tuo prossimo come te stesso (=Amore relativo)". E Gesù, apprezzando la risposta, aveva concluso tranquillizzandolo: "Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai". Ma il dottore non si accontenta. Chi è il prossimo? La famiglia? La tribù? Il popolo di Israele? Quanto mai potrà allargarsi il concetto di prossimo? Ci deve essere pure un limite. Per il dottore probabilmente questo limite è piuttosto ristretto. Ha bisogno di una conferma.

Il Samaritano

Gesù riprese: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?". Quello rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va’ e anche tu fa’ così". (da Lc 15, 30-37)


Ancora una volta Gesù delude chi è alla ricerca di un alibi, di una giustificazione. Il concetto di prossimo è completamente ribaltato. Noi siamo il prossimo e noi siamo il limite che scegliamo di voler essere. Quando si parla di amore le barriere che una legge o una dottrina ci impongono costituiscono solo un strumento per scaricare la propria coscienza. Il sacerdote della parabola si è affidato a quelle barriere. Non è stato cattivo, come ai nostri occhi potrebbe sembrare; ha fatto una scelta: da una parte il bene dell'uomo, dall'altra il rispetto della Legge (toccare un morto o un moribondo rendeva impuri). E da buon sacerdote ha optato per la Legge: l'amore assoluto verso Dio (in realtà verso la Legge, anche se lui non se ne rende conto) è superiore all'amore relativo verso l'uomo. Il levita ha fatto la stessa considerazione. Chi, invece, ha avuto la capacità, il coraggio, la libertà di amare? Il diverso, lo straniero, l'emarginato, il reietto, l'extracomunitario: vale a dire il Samaritano, l'ennesima persona impura portata da Gesù a buon esempio.


Ho illustrato solo alcuni episodi; molti altri potrebbero essere ricordati: l'adultera, la guarigione del paralitico, il figlio del centurione, ... Ma credo che già questi siano sufficienti a far traballare l'immagine del Dio giustiziere, rigoroso e pignolo. Il vero volto di Dio va cercato da un'altra parte.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
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